
IL TEMPIO DI APOLLO
di Michele Buonomo
Un colpo d’occhio che non ha eguali al mondo: all’ingresso dell’isola di Ortigia. In largo XXV Luglio, in prossimità dello storico Mercato cuore propulsore del centro storico, sorgono i resti del Tempio di Apollo.
La cosiddetta “via sacra” ,oggi identificabile nell’odierna asse viaria tra via Dione e via Roma, conduceva a questo tempio ritenuto dagli studiosi il piu’ antico di origini doriche risalente per la precisione al VI secolo a.c.

Il Tempio ,che misura circa 60 metri per 25, è orientato a est mantenendo le caratteristiche tipiche di tutti gli edifici equivalenti della Magna Grecia. Da notare come le colonne, ben 6 sul lato piu’ breve e 17 su quello piu’ lungo, siano molto toste e ravvicinate avallando l’arcaicità del monumento in una precisa fase storica: quella che contrassegna il passaggio dell’utilizzo del legno alla pietra in fatto di architettura templare.
La struttura era formata da tre navate, divise da colonnati a due ordini. Sopra uno dei gradini del lato est è riportata un’iscrizione dedicata al dio Apollo con accanto la dicitura dell’ideatore( un certo Kleomene) e del costruttore( un tale Epikles).

Per la costruzione del Tempio di Apollo si adoperò il tipico calcare siracusano il cui trasporto venne agevolato da un sistema di canali. Ciò si ritenne necessario dato il costo piuttosto esoso del trasferimento di marmo greco. Quasi tutti i templi greci edificati in Sicilia seguirono questa linea riservando l’uso del marmo alle sole statue degli dei.
Le successive dominazioni, nel corso dei secoli , diedero un’impostazione diversa alla struttura.
Prima chiesa bizantina e poi moschea araba. Successivamente chiesa normanna per trasformarsi addirittura in caserma spagnola.
Gli accurati studi archeologici a partire dal XVIII secolo restituirono la giusta dimensione al Tempio consacrandolo alla fama mondiale che oggi lo propone tra le strutture per tipologia piu’ importanti al mondo. I moderni scavi del 1942 consegnarono il Tempio alla citta’ , in tutto il suo splendore, liberandolo da sovrastrutture soffocanti che lo rendevano irriconoscibile.
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